martedì 10 aprile 2012

Qualcosa su mio padre (seconda parte)

continua......

E' probabile che lo zio Aldo abbia trovato negli USA ciò che l'Italia di allora non poteva offrirgli. Sappiamo che si dedicò con altri artisti alla realizzazione di grandi affreschi murali che ornavano la hall di famosi alberghi come il Waldorf Astoria o i saloni dei ricchi transatlantici di lusso che all'epoca facevano la spola tra l'Europa e l'America. In seguito si trasferì, forse attratto da più allettanti compensi, sulla costa occidentale, a Hollywood, per lavorare alle sceneggiature di grandi colossal, come i Dieci Comandamenti. Così facendo, credo,prese definitivamente le distanze da quel talento non comune che aveva saputo esprimere sulla tela nelle opere giovanili e nello stesso tempo anche i rapporti con la famiglia si fecero sempre più radi.
Passando in rassegna i personaggi della foto, in rispettoso ordina cronologico, è il turno della zia Elsa.
Ricordo che aveva una spiccata attitudine per la "teatralità": le piaceva indossare scialli, stole di pelliccia, tutto ciò insomma che potesse scivolare languidamente dalle spalle, stile femme fatale. Adorava i funerali - non ne perdeva uno - e per tutta la durata della cerimonia funebre, benchè non avesse mai conosciuto il caro estinto, manteneva un'espressione dolente, punteggiata a intervalli da profondi sospiri.Sembrava che la mestizia fosse il suo pane quotidiano. Ricordo che il venerdi, prima di avventurarsi tra le bancarelle del mercato in cerca di qualche buona occasione - non doveva essere facile crescere nove figli con lo stipendio da capostazione del marito - si recava in chiesa per assistere alla messa e ricevere la comunione e poi passava dalla casa dei miei genitori giusto per un saluto. Mia madre, sapendola a digiuno fin dalla sera precedente , le chiedeva : "Elsa, gradisci del te o del caffelatte ?" e lei con fare riluttante rispondeva invariabilmente: "Grazie, ma mi raccomando, che non sia più di una lacrima".Inutile dire che una volta esaurito il pathos della battuta, il suo appetito riprendeva tutto il suo vigore.
Della sorella più giovane,  zia Angiola, ricordo la timidezza e la riservatezza. Aveva un carattere dolce, dote non da poco se si considera che faceva la maestra. 
Viveva con il marito e i quattro figli nella frazione di un paese non lontano, dove nel '44 ad una contadinella era apparsa la Madonna. Il fatto, benchè mai riconosciuto ufficialmente dalla Chiesa, aveva suscitato grande scalpore ed erano in molti i fedeli che confluivano in quel luogo, per devozione, per curiosità, per speculazione, tanto che era stata edificata una cappelletta nel punto preciso dell'apparizione . A volte d'estate con mia madre e le mie sorelle ci recavamo a piedi in questa frazione sia per una preghiera alla Modonna sia per far visita alla zia. Devo confessare però che la cosa che mi mandava in estasi non era il miracolo dell'apparizione ma il fatto che la zia abitasse DENTRO la scuola. In realtà disponeva di un normale appartamento ma bastava attraversare un pienerottolo, aprire una porta e mi trovavo in una classe vera, con una grande lavagna appesa al muro e tutto il gesso a disposizione, senza alunni ovviamente,  libera di fare tutto quello che volevo. Sarà stata questa circostanza a far nascere in me la vocazione per l'insegnamento?
Le nostre visite erano brevi perchè sapevamo che il marito della zia era piuttosto ombroso, non gradiva gli ospiti e non si faceva mai trovare in casa. A distanza di tanti anni ci ritroviamo ancora oggi a sorridere ricordando quella volta che mia sorella Nicoletta lo sorprese nascosto nel pollaio in mezzo alle galline!
Lo zio Tullio era nato con la vocazione per "una vita da mediano" come dice Luciano Ligabue. Aveva un certo talento artistico, era intelligente, aveva un buon posto di lavoro, ma dal suo punto di vista le sue qualità non erano paragonabili a quelle dei fratelli più grandi. Forse in realtà non lo erano davvero, ma questa circostanza aveva creato in lui una frustrante mancanza di autostima che toglieva serenità al suo ambiente domestico. Mio padre cercava di incoraggiarlo, di sostenerlo, di aiutarlo a correggere certe sue debolezze, ma lui non sembrava sentire ragione.
Quando ripenso alle tragiche circostanze della sua morte sento un brivido lungo la schiena insieme a tanta tristezza al pensiero dell'abisso di solitudine in cui si era irrimediabilmente calato.
Lo zio Franco era il più piccolo della famiglia, aveva ben 17 anni meno di mio padre.Viveva con la madre e faceva l'agente di commercio. Anche se più in là nel tempo rispetto ai suoi fratelli, si sposò con una donna molto simpatica, dotata per sua fortuna di senso dell'umorismo, ed ebbero due figlie. La loro vita coniugale altalenava tra periodi di supercoccole alla ciccioeciccia, ad altri in cui i piatti volavano per casa con preoccupante frequenza, tuttavia nonostante l'instabilità di un simile ménage avevano trovato evidentemente un punto di equilibrio perchè vissero a lungo insieme e se ne andarono pochi mesi l'uno dall'altra.
Ecco, questa era la famiglia di mio padre e sono certa che, a ben guardare,se il ricordo di queste persone è rimasto vivo nel tempo  nella mia mente e nel mio cuore, è perchè c'è un filo sottile che lega le nostre vite, i nostri destini. 

Nessun commento:

Posta un commento