domenica 20 maggio 2012

Per non dimenticare - capitolo secondo




Mio nonno era Paolino per tutti, Paolino il mugnaio. Massiccio nella corporatura, l’aria severa, sempre elegante con l’immancabile panciotto da cui fuoriusciva la catena dell’orologio, stava, così impeccabile, anche nella stanza del Buratto dove era impossibile non  essere contaminati dalla farina che vi regnava.



nonno Paolino

Capelli grigi, un volto disteso che non conosceva ancora i segni del tempo, bei lineamenti armonici, una figura di tutto rispetto.. bastava uno sguardo per sentirsi un po’ a disagio e per provare quella soggezione che impediva ogni slancio e soffocava ogni volontà di ritornare su argomenti trattati,  se qualcuno riteneva di dover aggiungere qualcos’ altro.

Ricordo ancora quando mi metteva alla prova e mi costringeva a vincere la paura del buio in quelle enormi stanze che erano al piano terra e dove, scendendo le scale interne, si poteva accedere attraverso un altro uscio ricavato nella parete, per evitare di  passare dal fuori.

Si trovava, per prima, l’enorme stanza delle macine e, attigua, un’altra stanza con altre due  macine .

Una parte era adibita ad ufficio con una scrivania in legno dove venivano tenuti i registri giornalieri delle entrate e delle uscite e sopra, una collezione di pipe, che il nonno teneva esposte, ma che usava .

Il profumo della farina fresca che aleggiava non l’ho più sentito  da  allora  e   se, come in  molte  memorie,  gli  odori sollecitano rievocazioni nitide, non sarebbe questo il caso perchè quel profumo è rimasto dentro di me e non è mai stato rievocato da niente di simile.

nonno Paolino con i butesi


Succedeva che, come accennavo prima, il nonno mi ordinasse di andare a prendergli la pipa e questo sempre tardi la sera…non si poteva replicare, bisognava farlo e subito, e una cosa era certa, non si poteva trasgredire.

Tremando come una foglia, scendevo la rampa di scala, aprivo quella piccola porta sulla sinistra  e dovevo scendere ancora altri scalini ricavati da enormi massi di sasso  irregolari, per niente agibili e impervi, per accedere alla prima stanza.  Poi dovevo attraversarla tutta ed entrare nell’altra dove stavano le pipe.. il tutto nel buio quasi totale e dove la poca luce  non faceva che accrescere le mie paure perché creava strani giochi di ombre che la mia fantasia di bimba trasformava regolarmente  in creature irreali e mostruose .
Era stato chiaro :”Prendimi  la seconda a partire da destra”.
 Ma ogni volta ,la pipa che gli portavo era quella sbagliata e lui ribadiva che avevo capito male..mi aveva detto quella a partire da sinistra.. oppure.. non la seconda…ma la terza. Era il suo gioco un po’ crudele ma anche tenero e così facendo mi rimandava giù sempre due volte perché io riuscissi a liberarmi delle mie paure .
Poi  la sua morale: “Di notte c’è quello che c’è di giorno!”
I suoi insegnamenti all’antica erano già allora un po’  'di altri tempi’  ma  lui  aveva la sua visione della vita e  teneva molto che le regole fossero rispettate.  Non imponeva mai niente che non fosse stato prima rappresentato  nella pratica e quando doveva puntualizzare qualcosa o sgridarmi, le
 parole erano poche ma essenziali.
Io non ero molto tranquilla, ne combinavo di tutti i colori e sfidavo il pericolo senza preoccuparmi troppo delle conseguenze…

Di episodi ce ne sarebbero tanti da raccontare ma uno non me lo posso dimenticare perché, se non fosse intervenuto il nonno, avrei sfiorato la tragedia.
Stavo bene in quel piccolo paradiso dove c’erano sempre cose nuove da scoprire, dove non ci si annoiava mai e si poteva correre e muoversi in quegli spazi aperti senza vederne i limiti.
Quella volta mi era venuta voglia di sguazzare coi piedi nella gora di legno…ma scivolai per la melmosità del fondo e la forza della corrente  cominciò a trascinarmi inesorabilmente.
La nonna si mise a gridare e  dalla finestra della stanza del grano, dove bastava affacciarsi e allungare una mano per toccare l’acqua, quella volta fu la presa sicura della mano del nonno ad afferrarmi in tempo, impedendo così che la ruota mi travolgesse .
Un giorno era andato a Firenze per i suoi interessi con l’autista,  però,  se  doveva far visita ai clienti nei paesi vicini per consegnare la farina o per far spese, andava sempre col  calesse rosso e quando era sulla via del ritorno, sulla salita in prossimità del cimitero, si capiva che stava per arrivare dal tintinnio dei campanelli. 

nonno col calesse


Forse quel giorno mi sarò sentita più libera, più incostudita non so.. fatto è che chi mi conosce, sa che ho da sempre  una passione incredibile per il volo..paracadute..insomma tutto quello che consente di poter sentire il proprio corpo sospeso e fluttuante nel vuoto, mi ha sempre affascinato e mi affascina ancora.

Quella volta, forse molto incosciente anche per l 'età, presi il grande ombrello verde di incerato che stava nel coppino accanto alla scrivania, salii sul noce, aprii l’ombrello e mi lanciai felice e libera come l’aria che si respira…

Fu un volo di qualche metro ma per mia fortuna, caddi in un punto erboso e non mi feci niente.
Qualcuno mi vide ma io non me ne resi conto.
Lo capii l’indomani quando il nonno mi chiamò e mi disse di scendere.. ”Senti un po’.. ti sembra messo bene questo ombrello ? Mettilo com’era e ricorda che deve rimanere in questa posizione come l’hai messo ora ..a buon intenditor…”

nonna Maria


La nonna era il centro della Casa. Si chiamava Maria ma il nonno la chiamava quasi sempre Marina.

Un po’ remissiva, come quasi tutte le donne di quell ’epoca , anche se sottomessa, era tenuta dal nonno in grande considerazione specialmente per tutto quello che riguardava l’organizzazione e la conduzione familiare..

Quando si dovevano prendere decisioni importanti, l’ultima parola spettava a lei..

Si allevavano maiali per il consumo domestico, si riponevano le carni sotto sale nel coppaio dove era stato messo uno sgrondo per far scolare la salatura…poi i pezzi magri e saporosi  venivano riposti nei vasi.

Le olive erano scelte accuratamente e messe sotto ranno o in salamoia con cannella , aglio e chiodi di garofano.

Il ‘Voi ‘era di rigore “Il Tu si dà ai cani” andava ripetendo  sempre il nonno e  se a volte scappava il ‘tu’ nel rivolgersi alla nonna, bisognava correggersi.

Neanche mia madre era immune da tutto questo.
La nonna preparava il pane da lievitare nella madia e poi lo riponeva su lunghe tavole disposte
 all’interno dell’’enorme forno dove si poteva anche stare riparati se pioveva, perché era come una casetta in miniatura e quando la sua porta era  aperta, si poteva trasformare con un po’ di fantasia in una figura dalla grande faccia con la testa a punta e le fauci spalancate.
  C’era pane e farina per tutti e soprattutto per quelli che non avevano possibilità.

La nonna portava i capelli raccolti in una crocchia ed indossava sempre un grembiule ..credo di averla sempre vista così… Quando, però, si vestiva a festa e usciva anche per fare lunghi viaggi, non la si riconosceva tanto era elegante, come una signora di gran classe  e sapeva gestirsi e disbrogliarsi bene anche fuori dalle quattro mura domestiche.

 La aiutava la Cesira che serviva a tavola e dava una mano nelle faccende. Alta, capelli tirati e raccolti in una lunga treccia grigia che partendo dalla nuca le inghirlandava il volto..

L’ Alberta  veniva il venerdi per fare il bucato con la cenere nelle grandi conche e poi c’era Armando quasi tutti i giorni. Era l’uomo di fiducia del nonno per i lavori della terra e per l’orto.

 Sapeva fare delle capriole incredibili e quando si esibiva, restavo incantata ad osservarlo , estasiata da tanta bravura.

1 commento:

  1. Questi racconti sono molto belli ed anche ben scritti. Leggerli non è solo ricordare, ma anche capire che cosa siamo.
    Lilia

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