domenica 3 giugno 2012

Per non dimenticare - capitolo quinto



Stupì un po’ che tra tutti quelli che mia madre aveva implorato, si facesse avanti proprio lui… sempre così in disparte, schivo e, mai come in quel momento, tanto infelice. Ma era così buono che tutti gli volevano un gran bene proprio per questa sua aria un po’ ingenua e dolce con cui accoglieva le persone.
Di mestiere faceva il fornaio e lo si poteva vedere col lungo grembiule bianco a impastare e a sfornare pani e buccellati. Piuttosto piccolo di statura, magro, coi  baffetti, aveva sposato una delle sei  sorelle di mia nonna.
Dunque… una volta presi gli accordi necessari e stabilito il giorno della partenza, si presentò al cancello quella   mattina e, al cospetto del nonno, non mascherò una certa inquietudine.

Mia madre era pronta. Ogni momento che passava non le sembrava  degno di essere vissuto e quell’indugiare del nonno e le raccomandazioni di tutti non la distoglievano minimamente dal suo intento.
La rivedo di spalle, allontanarsi..  mentre dentro di me saliva un’angoscia incredibile, non tanto perché vivessi l’abbandono, quanto al pensiero di poter perdere anche lei.

mamma Flora

 C’erano tutti giù nel cortile… la Cesira, l’Alberta e Armando, visibilmente coinvolti e partecipi.

Io ero in mezzo ai nonni che  mi tenevano per mano e mi facevano sentire protetta e anche un po’  importante.

 Dopo i saluti, furono le parole del nonno a far voltare la mamma un’ultima volta prima di varcare il cancello .

 Il tono era grave come mai.

“ Ehi dico a te.!” Lui disse,  sollevando il braccio e, insieme, la mia mano.. “ Hai visto bene chi lasci ? Pensaci !!”
“La lascio in buone mani” fu la risposta ferma e sicura…

 e non si voltò più indietro, scomparendo per risalire il ponte.

Ricordo di aver vissuto i minuti e le ore con un senso di vuoto sullo stomaco che è difficile da spiegare  ma rende come inebetiti, di aver pensato, provato ad immaginarla e sempre la fantasia mi evocava scene di paura.. vedevo inseguimenti, sentivo rumore di spari, la vedevo a terra sfinita dalla fame, dalla stanchezza, a chiedere aiuto e nessuno a soccorrerla .

mamma con Annarosa

Ricordo quella notte, tra visioni e incubi, senza riuscire a prendere sonno.

Quella enorme casa mi sembrava nascondesse chissà quali insidie e anche il rumore dell’acqua non mi sembrava più lo stesso… non più quello scandire a cicli ripetitivi, quel  sottofondo familiare che accompagnava da sempre il nostro vivere .

Di giorno il mio stato d’animo non era migliore, forse perché erano tanti gli spazi e  orientarsi, anche all’interno, non era facile se non si conoscevano bene tutte le stanze e le loro funzioni.

 La casa era su due piani: i nonni abitavano il primo che aveva oltre alla sala, con stupendi affreschi al soffitto, la cucina col camino, la dispensa e la camera.. anche la stanza del grano che accoglieva le tramogge che a loro volta, attraverso un tubo collegato al piano terra, portavano grano alle macine.

Io dormivo al piano superiore in una cameretta da sola e, di solito, non avevo paura.

Intanto mia madre e lo zio Sandrino si erano messi in viaggio senza sapere quale potesse essere la strada più breve e più sicura, tra stanchezza, disagi e timori ad ogni muover di foglia.. come si può ben immaginare.
Quante volte ho sentito i dettagli di questa avventura e di come anche il destino abbia giocato qualche beffa, manovrando e interferendo, attraverso sottili fili , sulle situazioni e su scelte non sempre volute o prevedibili.

Dunque ..l’importante era non tanto arrivare prima possibile a destinazione ma ripiegare su percorsi più impervi, lontani dall’abitato e da occhi indiscreti,  cercar di chiedere a persone di cui ci si potesse fidare e soprattutto evitare di essere fermati per non dover rispondere a domande inopportune o dare spiegazioni .

Si percorrono chilometri e lo zio, a poco a poco, comincia ad aver paura davvero… si sentono spari, la strada su per le montagne è faticosa… ha bisogno di riposare un po’, si sente sgomento, è sempre più convinto che sia  un’impresa assurda e impossibile.
“Flora, ma dove mi hai portato ? Dammi retta.. torniamo a casa… non ce la faremo mai. Non si può andare avanti.. è troppo pericoloso. Si va a tentoni,  senza sapere dove”.

E ancora: “Ascolta, fin qui ci siamo arrivati. Se non ci hanno fucilato, ci è andata bene.. dammi retta finché siamo in tempo”.

Lei rispondeva si e no qualcosa, esortandolo a non perdersi d’animo e sembrava acquisire sempre più forza e coraggio ad ogni passo.

llora lui  provò a intimorirla un po’, certo che a quel punto si sarebbe fermata a riflettere.

“Se non mi ascolti, sai che faccio ? Torno indietro e ti lascio sola”.

Lei proseguiva, sorridendo fra sé, certa che lo zio non l’avrebbe mai fatta una cosa del genere..

“Voglio vedere cosa fa quando si accorge che non sono più dietro”’ pensava lui, tornando  un po’ sui suoi passi..

“Voglio vedere se ha il coraggio di lasciarmi da sola” pensava lei  mentre continuava a camminare..

Passò un po’ di tempo, non molto, ma sufficiente a far perdere all’uno, le tracce dell’altro.


1 commento:

  1. Ho sempre detto che questo lungo racconto mi piaceva. Ben scritto, avvincente l'argomento.
    Ora, rileggendolo a puntate sul blog, lo trovo ancora più bello!
    Lilia

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